Il primissimo monachesimo nell’Africa latina

Bazyli Degórski O.S.P.P.E.
Roma – PUST

Gli albori del monachesimo nell’Africa latina

Fin dai primissimi tempi del cristianesimo, la Chiesa latina nell’Africa settentrionale era feconda di uomini continenti e di vergini [1] Infatti, già il rigorista Tertulliano di Cartagine sosteneva che, per vivere pienamente il cristianesimo, bisogna spezzare ogni legame con la materia e con il mondo[2]. Poco più tardi, san Cipriano, vescovo della medesima città, aveva un’accentuata predilezione per il misticismo cristiano[3]. Grazie al loro insegnamento circa la rinuncia ai beni del mondo, molti fedeli cominciarono a condurre una vita di continenza, di penitenza e di rinuncia[4].

Passer ancora più di un secolo per poter scorgere, nella Chiesa latina in Africa, una nuova difesa della vita ascetica, fatta ad opera sant’Agostino, vescovo d’Ippona. Ciò nonostante, già gli Acta martyrum, le Passiones[5], le opere di Ottato di Milevi[6] e, in modo particolare, gli stessi canoni conciliari testimoniano validamente la presenza degli asceti, delle vergini consacrate e lo sviluppo del monachesimo in quella regione ecclesiastica[7].

Il clero paleocristiano dell’Africa settentrionale latina proveniva prevalentemente da asceti, e il numero delle vergini consacrate a Dio andò sviluppandosi in tal modo che, già alla fine del IV secolo, esse costituivano un’istituzione monacale prettamente formata[8].

Ma, in quale modo si presentavano i primissimi monaci di quella regione? Purtroppo, ne siamo scarsamente informati. All’inizio del V secolo, sant’Agostino nel De opere monachorum[9] critica alcuni monaci di Cartagine che non volevano lavorare manualmente. Appare, dunque, chiaro che in quel periodo esistevano, nella capitale dell’Africa latina, delle comunità religiose di tendenze messaliane[10] Con tanta probabilità, però, si tratta di monaci orientali arrivati dalla Mesopotamia o dalla Siria, e non degli stessi religiosi agostiniani[11].

È stata rivolta l’attenzione anche su altre comunità religiose come su quella di Adrumeto, che sembrano di provenienza italiana[12], ma bisogna sottolineare che prima dell’arrivo di sant’Agostino in Africa, ossia prima del 388, già esisteva in questa terra un monachesimo autoctono.

Sant’Agostino d’Ippona e il monachesimo africano

Dopo essere stato battezzato da sant’Ambrogio, nel 387, a Milano, sant’Agostino decise di ritornare in patria. Nell’autunno del 388 si imbarcò, con l’amico Alipio ed altri, per Cartagine e, appena arrivato, visse dapprima gli ideali monastici „privatamente” in compagnia di suo figlio Adeodato e di Alipio, Luciniano, Evodio, ed altri, formando in tal modo „un monastero di filosofi” cristiani[13]: un gruppo di asceti che menavano un genere di vita molto simile a quello già vissuto da loro a Cassiciaco, nei pressi di Milano.

Nel 391, sant’Agostino si separò dai beni materiali distribuendone il ricavato tra i bisognosi, e iniziò a sperimentare un’esistenza del tutto conforme all’indole e alla prassi della Chiesa apostolica. Il vecchio e malfermo vescovo d’Ippona, Valerio, lo ordinò presbitero per essergli d’aiuto nel servizio pastorale. Il vescovo Valerio, inoltre, gli donò un podere rurale, affinché egli potesse fondare il suo primo monastero nel senso vero e proprio del termine[14]. Ma già nel 396, sant’Agostino, dovendo sostituire Valerio nella sede vescovile di Ippona, per non turbare la quiete monastica dei confratelli, si trasferì nella casa del vescovo, ad Ippona. Ciò nonostante, volle continuare a vivere da monaco-cenobita e, per tale ragione, fondò proprio lì il suo famoso monasterium clericorum, ove i chierici dovevano privarsi di tutti i beni materiali e darli ai poveri, oppure versare il ricavato nella cassa comune del monastero[15].

Tra i documenti legislativi monastici agostiniani possiamo indicare l’Ordo monasterii dello Pseudo Agostino[16]. Il titolo di quest’opera si ispira a quello che si trova nel manoscritto di Laon, del IX secolo (il Laudunensis 328 bis). In tutti i codici manoscritti, eccezion fatta per quei due che presentano una versione al femminile dell’ Ordo monasterii, questo è seguito da una regola monastica che viene chiamata Praeceptum (è la versione maschile della „Regola” di sant’Agostino).

Questo fatto può essere considerato come voluto o come fortuito. In coloro che ritengono come voluta la combinazione dell’ Ordo monasterii con il Praeceptum, le ipotesi riguardanti l’origine dell’ Ordo monasterii dipendono dalle loro concezioni sull’origine dello stesso Praeceptum. D. de Bruyne sosteneva che il Praeceptum fosse la trascrizione, al maschile, della Regularis informatio che è un frammento dell’ Epistula 211 di sant’Agostino. D. de Bruyne spiegava la vicinanza dell’ Ordo monasterii con il Praeceptum affermando che la stessa persona avrebbe trascritto al maschile la Regularis informatio, redatto l’ Ordo monasterii e combinato i due brani. Questa persona, sempre secondo l’ipotesi di D. de Bruyne, sarebbe stata san Benedetto da Norcia[17].

P. Mandonnet, invece, ha pensato che l’opinione che riteneva il Praeceptum una trascrizione, al maschile, della Regularis informatio fosse priva di fondamento. Egli affermava, invece, che il Praeceptum fosse un testo agostiniano e che nei manoscritti più antichi il Praeceptum seguisse l’ Ordo monasterii soltanto perché anche questo scritto proveniva direttamente da sant’Agostino. Secondo P. Mandonnet, esso sarebbe la „Regola” dell’Ipponate vera e propria, e redatta, tra il 388 e il 391, per il monastero agostiniano di Tagaste: la „Regola” alla quale sant’Agostino avrebbe allegato il Praeceptum come una specie di commento[18].

Quest’opinione, però, non tiene conto dello stile davvero peculiare dell’ Ordo monasterii. Infatti, L. Verheijen mette in rilievo la forte differenza tra lo stile dell’ultima e della prima frase dell’ Ordo monasterii e quello della parte principale di questo scritto. Egli afferma che la parte principale dell’ Ordo monasterii non proviene da sant’Agostino, ma ritiene che questi l’abbia approvato aggiungendovi l’ultima frase e, forse, anche la prima[19].

Quest’ultima ipotesi circa la provenienza dell’ Ordo monasterii è stata condivisa anche da A. Manrique e da A. Sage, i quali considerano il Praeceptum come agostiniano e non come una trascrizione, al maschile, della Regularis informatio. Ma, dal momento che sant’Agostino nelle Retractationes non menziona il Praeceptum, A. Manrique e A. Sage datano il Praeceptum posteriormente a quest’opera (ossia: dopo il 426-427) e collegano il Praeceptum con il monastero di Adrumeto in Bizacena. Secondo loro, infatti, l’ Ordo monasterii sarebbe la regola del monastero di Adrumeto, consegnata a sant’Agostino e da lui approvata. Inoltre, lo stesso vescovo di Ippona avrebbe arricchito questa legislazione monastica con il suo Praeceptum[20].

Anche L. Verheijen, infine, considera che il Praeceptum sia il testo primitivo della legislazione monastica di sant’Agostino, ma anche che esso sia stato composto nel 397, nonostante la sua assenza dalle Retractationes.

Inoltre, L. Verheijen ritiene che il corpo dell’ Ordo monasterii fosse scritto da sant’Alipio, il quale l’avrebbe composto dopo il viaggio in Palestina che precedette immediatamente la sua ordinazione a vescovo di Tagaste (nel 394). Secondo quest’ipotesi, sant’Alipio avrebbe mostrato la sua legislazione monastica a sant’Agostino in occasione di una visita a Ippona, e sant’Agostino l’avrebbe approvata aggiungendovi l’ultima frase e, forse, anche la prima. Secondo L. Verheijen, inoltre, sant’Agostino, verso il 397, avrebbe scritto il Praeceptum per il primo monastero di Ippona. Di seguito, visitando questa città, sant’Alipio avrebbe fatto una copia del Praeceptum agostiniano e, già a Tagaste, l’avrebbe combinato con il proprio Ordo monasterii[21].

Concludendo, possiamo dire che il Praeceptum è rivolto a „servi di Dio” che vivono in un monastero, ma che non sono ordinati diaconi o presbiteri. Questa „Regola” dell’Ipponate deve essere datata tra il 391 (data della fondazione del primo monastero maschile di Ippona) e la fine del secolo IV (data approssimativa del De opere monachorum di sant’Agostino), con tanta probabili`t nel 397. Potrebbe essere che sant’Agostino lasciando il primo monastero di Ippona, dopo la morte del vescovo Valerio, per andare a stabilirsi nella casa vescovile ad Ippona e fondarvi il monasterium clericorum, abbia desiderato di dare ai monaci laici una sintesi scritta dell’insegnamento orale che soleva impartire ad essi personalmente, di cui il suo biografo Possidio di Calama descrive la spiritualità [22].

Per quanto riguarda gli altri primissimi monaci agostiniani, amici e compagni dell’Ipponate, dobbiamo ovviamente indicare i seguenti: Alipio, Evodio e Possidio.

Sant’Alipio, ordinato presbitero, intraprese il pellegrinaggio a Betlemme[23], dove restò qualche tempo presso san Girolamo, facendo in tal modo conoscenza del monachesimo palestinese. Di ritorno in Africa, nel 393, sant’Alipio fu eletto vescovo di Tagaste, dove ristabilì la vita monastica; fondò un cenobio, anzi probabilmente più di uno: senza dubbio, uno di chierici, uno di laici e uno di vergini. Scrisse allora, presumibilmente nel 395, il già menzionato Ordo monasterii, ispirato ad un tempo a sant’Agostino e a san Girolamo. La sua fama era tale che, quando san Piniano e santa Melania la Giovane emigrarono in Africa, nel 410, fu presso di lui che installarono i loro monasteri. Egli ebbe anche uno scambio epistolare con san Paolino di Nola. Vescovo e abate, sant’Alipio fu consumato da zelo apostolico. Era considerato uno dei più importanti vescovi in Africa per santità e scienza. Egli fu uno dei padri più ragguardevoli dei concili di Cartagine del 401[24], del 411[25] e del 418[26], e del concilio di Milevi, del 416[27].

Sant’Evodio, uscito da Cassiciaco e da Tagaste, divenne nel 396 vescovo di Uzala, nella provincia proconsolare, e vi istituì un monastero di chierici e, in seguito, due monasteri di donne. Anch’egli fu coinvolto in tutte le lotte a favore dell’ortodossia[28].

San Possidio, infine, biografo di sant’Agostino d’Ippona, fu ordinato, nel 397, vescovo di Calama in Numidia, dove fondò, a sua volta, un monastero canonicale[29].

Il monachesimo nell’Africa latina dopo sant’Agostino d’Ippona

Alla morte di sant’Agostino ad Ippona, avvenuta il 28 agosto del 430, la vita monastica nell’Africa latina risplendeva nonostante l’occupazione vandalica. I Vandali, che erano eretici ariani, non erano ovviamente favorevoli alla Chiesa cattolica e al monachesimo[30]. Tale situazione favorì anche le incursioni di alcune tribù agarense, che erano altrettanto devastanti per la vita religiosa in Africa. Perciò, alcune comunit monastiche, per salvarsi, si trasferirono altrove. Il re vandalo Unnerico († 484) cercava di infastidire sempre di più i monaci africani. Il suo successore, Guntamundo (484-496), invece, fece cessare quasi del tutto questa persecuzione[31].

La sorte delle comunità monastiche dipese anche dalla loro collocazione geografica. Infatti, gli occupanti vandali erano presenti prevalentemente nell’Africa Proconsolare, perciò fuori di quella provincia la vita monastica poteva svolgersi quasi regolarmente[32].

Nella martoriata Proconsolare i monaci e le monache furono al momento della prova all’altezza della vocazione cristiana: vilipesi, maltrattati, torturati, fatti schiavi, mandati in esilio, morti d’inedia, nascosti in boschi, uccisi.

Per conoscere bene la storia del monachesimo nordafricano di quel periodo, dobbiamo ricorrere alla Vita di san Fulgenzio di Ruspe, composta circa il 535 dal diacono Ferrando di Cartagine[33]. Lo stesso san Fulgenzio, infatti, è la persona più importante, dopo ovviamente sant’Agostino di Ippona, per la vita monastica nell’Africa latina. Egli nacque, con tanta probabilità, nel 426 a Thelepte. Ricco e colto, aveva già cominciato la vita pubblica quando venne attratto dagli ideali monastici. Decise, quindi, di entrare nel monastero appena fondato da Fausto, vescovo di Praesidium Diolele. Quando Fausto dovette fuggire a causa della persecuzione e Fulgenzio si trasferì in un monastero guidato dal suo amico Felice, questi volle farlo abate, considerandosi inferiore. Dopo una lunga discussione, tutti e due decisero che avrebbero diretto il monastero insieme. Molto presto la disastrosa situazione causata dai Vandali costrinse san Fulgenzio e i suoi confratelli a cercare un luogo pi tranquillo verso il settentrione, nella provincia Proconsolare. Ma anche là un prete ariano cominciò a perseguitarli così violentemente che essi rientrarono nella provincia Bizacena e fondarono un monastero nei pressi di Henchir Midid[34].

Influenzato dagli scritti di san Giovanni Cassiano, san Fulgenzio di Ruspe decise di abbandonare il cenobio e di andare in Egitto[35]. Accompagnato da uno dei suoi confratelli, Redento, prese a Cartagine una nave che faceva vela per Alessandria in Egitto. L’imbarcazione fece scalo a Siracusa in Sicilia. Però, il vescovo di questa città, Eulalio, che conduceva la vita monastica in un cenobio, dissuase san Fulgenzio dal proseguire il viaggio affermando che i monaci copti erano diventati monofisiti. Convinto e rimasto per molti mesi con il vescovo Eulalio, san Fulgenzio andò, quindi, a trovare un vescovo della Bizacena in esilio, che viveva da monaco in una isola vicina. Questo vescovo convinse san Fulgenzio a ritornare al suo monastero, ed egli fece proprio così, ma prima, nel 500, visitò Roma. Con l’aiuto di un ricco credente, san Fulgenzio fece costruire un nuovo monastero. Non cessò, però, di nutrire il desiderio di vivere sconosciuto da semplice monaco. Perciò, si trasferì in un altro convento situato su una isoletta. L’amico Felice, però, e i monaci lo fecero ritornare al monastero d’origine. Il vescovo Fausto, quindi, lo ordinò presbitero[36], ma ciò nonostante san Fulgenzio, per non essere ordinato vescovo, decise di fuggire ancora una volta. Tutto questo non gli servì affatto, perché verso l’anno 502 fu ordinato vescovo di Ruspe. Questo suo ministero pastorale, però, non durò a lungo: fu esiliato, ma prima di andarsene fondò un monastero a Ruspe[37].

Appena arrivato in Sardegna, san Fulgenzio fondò un monastero maschile, a Cagliari, per monaci e chierici, e più tardi un altro ancora, in campagna, ove visse insieme a monaci provenienti dall’Africa nel corso di un viaggio che fece tra il 510 e il 515[38].

Nel 523, fece ritorno a Ruspe ove, per circa due anni, viveva da monaco cercando efficacemente di adempiere alla missione di vescovo. In seguito, fuggì di nuovo in compagnia di qualche religioso e andò a stabilirsi nell’isola di Circina, dove aveva fatto edificare un monastero. Nell’arco di nove mesi le proteste dei suoi fedeli lo fecero rientrare nel monastero di Ruspe. Con tanta probabilit, il 1° gennaio del 532 si ammalò e morì a Ruspe[39].

  1. A proposito del primissimo monachesimo dell’Africa settentrionale latina, cf. ad esempio: J.-M. BESSE, Le monachisme africain. Extrait de la Revue du monde catholique, Paris-Poitiers 1900; J.J. GAVIGAN, De vita monastica in Africa Septentrionali inde a temporibus S. Augustini usque ad invasiones Arabum [= „Bibliotheca Augustiniana medii aevi”, ser. 2, 1], Torino 1962; G.M. COLOMBÁS, Il monachesimo delle origini. Uomini, fatti, usi e istituzioni [= „Complimenti alla Storia della Chiesa”; „Gi e non ancora”, 106], Milano 1984 (prima ristampa: settembre 1990), 279-296.
  2. Cf., ad esempio: TERTULLIANUS, Ad martyras, CCL 1, 3-8; IDEM, De baptismo, CCL 1, 277-295 (anche SCh 35); IDEM, De corona, CCL 2, 1039-1065; IDEM, De paenitentia, CCL 1, 319-340; IDEM, De patientia, CCL 1, 299-317 (anche SCh 310); IDEM, De pudicitia CCL 2, 1279-1330; IDEM, De spectaculis, CCL 1, 227-253 (anche SCh 332); IDEM, Scorpiace, CCL 2, 1067-1097. Cf. anche: K. RAHNER, Zur Theologie der Buße bei Tertullian, in Abhandlungen über Theologie und Kirche. Festschrift für Karl Adam, Düsseldorf 1952, 139-167 (traduzione italiana: La teologia della penitenza in Tertulliano, in La penitenza della Chiesa. Saggi teologici e storici, Roma 19682, 523-571); M. GUL, „Lavacrum sanguinis”. Il battesimo di sangue e la sua efficacia in Tertulliano, Roma 1960; M. SPANNEUT, Tertullien et les premiers moralistes africaines, Paris 1969; C. RAMBEAUX, Tertullien face aux morales des trois premiers siécles, Paris 1979; S. STRĘKOWSKI, Wolność osobista człowieka według Tertuliana, „Studia Teologiczne” 14 (1996) 175-179.
  3. Cf., ad esempio: S. DELEANI, Christum sequi. Étude d’un théme dans l’œuvre de saint Cyprien, Paris 1979; A. CERRETINI (ed.), Cipriano. Trattati [= „Collana di testi patristici”, 175], Roma 2004.
  4. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 279.
  5. I testi degli Acta martyrum e delle Passiones sono pubblicati, ad esempio, in: R. KNOPF – G. KRÜGER – G. RUHBACH (edd.), Ausgewählte Märtyrerakten, TÜBINGEN 19654; H. MUSURILLO (ed.), The Acts of the Christian Martyrs, Oxford 1972; P. SINISCALCO (ed.), La letteratura sul martirio. Fonti antiche greche e latine […].Corso di Letteratura Cristiana antica greca e latina – I Cattedra [= Università degli Studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia], Torino 1981. Per l’edizione degli „Atti dei martiri Scilitani”, cf.: F. RUGGIERO (ed.), Atti dei martiri Scilitani. Introduzione, testo, traduzione, testimonianze e commento [= „Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Memorie”. Serie IX, volume I, fascicolo 2], Roma 1991. Per la Passio Sanctarum Perpetuae et Felicitatis, cf.: C.J.M. VAN BEEK (ed.), Nijmegen 1936.
  6. I testi degli Acta martyrum e delle Passiones sono pubblicati, ad esempio, in: R. KNOPF – G. KRÜGER – G. RUHBACH (edd.), Ausgewählte Märtyrerakten, TÜBINGEN 19654; H. MUSURILLO (ed.), The Acts of the Christian Martyrs, Oxford 1972; P. SINISCALCO (ed.), La letteratura sul martirio. Fonti antiche greche e latine […].Corso di Letteratura Cristiana antica greca e latina – I Cattedra [= Università degli Studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia], Torino 1981. Per l’edizione degli „Atti dei martiri Scilitani”, cf.: F. RUGGIERO (ed.), Atti dei martiri Scilitani. Introduzione, testo, traduzione, testimonianze e commento [= „Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Memorie”. Serie IX, volume I, fascicolo 2], Roma 1991. Per la Passio Sanctarum Perpetuae et Felicitatis, cf.: C.J.M. VAN BEEK (ed.), Nijmegen 1936.
  7. Le opere di Ottato di Milevi sono pubblicate in: PL 11, 883-1104; CSEL 26; SCh 412-413. Cf. anche L. DATTRINO (ed.), Ottato di Milevi. La vera Chiesa [= „Collana di testi patristici”, 71], Roma 1988.
  8. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 279-280.
  9. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 280.
  10. Il De opere monachorum è pubblicato in: PL 40, 547-582; CSEL 41, 529-596. A proposito dei messaliani, cf., ad esempio, C. STEWART, „Working the Earth of the Heart”: The Messalian Controversy in History, Texts, and Language to AD 431, Oxford 1991.
  11. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit., 280-281.
  12. Cf. A. MANRIQUE, San Agustín y el monaquismo africano, CD 173 (1960) 117-138; G.M. COLOMBÁS, op. cit., 281.
  13. Cf. H.-I. MARROU, Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1949[2], 167; G.M. COLOMBÁS, op. cit., 284.
  14. Cf. POSSIDIUS, Vita S. Augustini 5.
  15. Cf. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, Sermo 355 [De moribus clericorum sermo primus], 2.
  16. Il testo originale della „Regola” di sant’Agostino è pubblicato in: PL 32, 1377-1384; A.C. VEGA, El Escorial 1933; L. VERHEIJEN, La Règle de saint Augustin [= „Collection des Études Augustiniennes], Paris 1967.
  17. Cf. D. DE BRUYNE, La première Règle de saint Benoît, RBen 42 (1930) 316-342.
  18. Cf. P. MANDONNET, Saint Dominique, II, Paris 1937, 107-162.
  19. Cf. L. VERHEIJEN, Remarques sur le style de la „Regula secunda” de saint Augustin. Son rédacteur, in Augustinus Magister, Paris 1954, 255-263.
  20. Cf. A. MANRIQUE, La vida monástica en s. Agustín. Enchiridion histórico-doctrinal y Regla, El Escorial-Salamanca 1959, 454-476; A. SAGE, La Règle de saint Augustin commentée par ses écrits, Paris 1961, 260-263.
  21. Cf. L. VERHEIJEN, Nouvelle approche de la Règle de saint Augustin, Bellefontaine 1980; IDEM, La Regola di S. Agostino, verso un ideale di bellezza e di libertà, Palermo 1993.
  22. Cf. POSSIDIUS, Vita S. Augustini 5. Cf anche N. MERLIN, Saint Augustin et la vie monastique, Albi 1933, 27.Per quanto riguarda il commento a questa „Regola” dell’Ipponate, cf. A. TRAPÈ (ed.), S. Agostino. La Regola, Milano 1971; N. CIPRIANI, [Note illustrative alla, Regula ad servos Dei di sant’Agostino,], in SANT’AGOSTINO, Morale e ascetismo cristiano, [= „Nuova Biblioteca Agostiniana”, 7/2], Roma 2001, 29-49.
  23. Cf. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, Epistula , 28.
  24. Cf. REGISTRI ECCLESIAE CARTHAGINENSIS EXCERPTA, Notitia de gestis concilii Carthaginensis, 13 IX 401, can. 78, CCL 149, 203.
  25. Cf. REGISTRI ECCLESIAE CARTHAGINENSIS EXCERPTA, Notitia de concilio Carthaginensi, 25 VIII 403, can. 90, CCL 149, 209.
  26. Cf. CONCILIUM CARTHAGINENSE (a. 419), CCL 149, 91. 150; Canones in causa Apiarii , 10, CCL 149, 103. 120. 136; CONCILIUM CARTHAGINENSE (a. 419), Epistula ad Bonifatium Papam, CCL 149, 161; REGISTRI ECCLESIAE CARTHAGINENSIS EXCERPTA, CONCILIUM CARTHAGINENSE (a. 419), CCL 149, 229.
  27. Cf. I. GOBRY, Storia del monachesimo. Le origini orientali: da sant’Antonio a san Basilio. Il radicamento in Occidente: da san Martino a san Benedetto, I, Roma 1991, 554-555.
  28. Cf. I. GOBRY, op. cit., 555; V. SAXER, Evodio di Uzala, DPAC I, 1321.
  29. Cf. I. GOBRY, op. cit., 555; A.V. NAZZARO, Possidio, DPAC II, 2879-2880.
  30. Cf. VICTOR VITENSIS, Historia persecutionis Africanae provinciae , 1, 50, CSEL 7, 22; Passio septem monachorum , 5, CSEL 7, 109.
  31. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 293.
  32. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 293.
  33. La Vita S. Fulgentii , è pubblicata in: PL 65, 117-150; G.-G. LAPEYRE, Ferrand, diacre de Carthage, Vie de saint Fulgence de Ruspe, Paris 1929.
  34. Cf. FERRANDUS CARTHAGINENSIS, Vita S. Fulgentii , 2-7.
  35. Cf. FERRANDUS CARTHAGINENSIS, Vita S. Fulgentii , 8.
  36. Cf. FERRANDUS CARTHAGINENSIS, Vita S. Fulgentii , 9-13.
  37. Cf. FERRANDUS CARTHAGINENSIS, Vita S. Fulgentii, 13-19.
  38. Cf. G.M. COLOMBÁS, op. cit. , 296.
  39. Cf. M. SIMONETTI, Letteratura cristiana d’Africa, in A. DI BERARDINO (ed.), Patrologia. Dal Concilio di Calcedonia (451) a Beda. I Padri latini, IV, Genova 1996, 26.